La capacità di trattenere i talenti in azienda è oggi una competenza strategica che può fare la differenza tra un’organizzazione che cresce in modo sostenibile e una che affronta continui cicli di instabilità. Non si tratta solo di “evitare le dimissioni”, ma di creare le condizioni per cui le persone scelgano di restare, contribuire e crescere all’interno del contesto aziendale.

Nel mondo post-pandemico, con un mercato del lavoro più mobile e persone sempre più attente al proprio equilibrio personale e professionale, l’employee retention diventa un obiettivo prioritario per qualsiasi funzione HR.

Cosa significa employee retention

Trattenere i talenti non significa vincolare o legare a sé le persone con logiche contrattuali, ma creare le condizioni per cui sia naturale, desiderabile e motivante restare in azienda.
La retention è quindi una somma di azioni che rafforzano la relazione tra persona e organizzazione, valorizzano il contributo individuale e creano un senso condiviso di appartenenza e progetto.

Perché trattenere i talenti è un obiettivo strategico

Quando una persona lascia l’azienda, l’impatto va ben oltre la sua sostituzione:

  • si perdono competenze tacite acquisite nel tempo;
  • si interrompe un rapporto fiduciario con clienti, colleghi/e o stakeholder;
  • si generano effetti a catena sul clima interno;
  • si attivano costi diretti (recruiting, onboarding, formazione) e indiretti (produttività, reputazione, morale del team).

 

Cause principali dell’abbandono in azienda

Scarsa motivazione e insoddisfazione

Una persona demotivata è spesso un campanello d’allarme ignorato. Le cause sono molteplici:

  • obiettivi non chiari o non condivisi;
  • mancanza di senso nel proprio lavoro quotidiano;
  • mancata valorizzazione del contributo individuale.

Una motivazione debole può diventare disaffezione, e da lì il passo verso il disimpegno o l’uscita è breve.

Mancanza di crescita professionale

Il talento è mobile. Le persone ad alto potenziale sono più inclini a cambiare azienda se:

  • non percepiscono possibilità di avanzamento;
  • i percorsi di carriera sono opachi;
  • le attività diventano ripetitive o stagnanti.

L’assenza di visione di lungo periodo e la mancanza di investimenti nello sviluppo fanno sentire le persone “ferme”, e questo le spinge a cercare altrove.

Ambiente lavorativo negativo

Un clima disfunzionale può compromettere anche il miglior piano carriera. Tra i principali fattori critici:

  • conflitti non gestiti;
  • stili di leadership autoritari o distaccati;
  • cultura del controllo e non della fiducia;
  • mancanza di dialogo o ascolto.

Oggi il benessere relazionale è una condizione non negoziabile, in particolare per le nuove generazioni.

 

Le leve per migliorare la retention

Una strategia efficace di retention deve combinare azioni strutturali, relazionali e simboliche. Non basta un benefit in busta paga: serve una cultura aziendale che metta davvero al centro le persone.

Percorsi di crescita e formazione continua

Offrire opportunità reali di apprendimento è un potente strumento di retention. Alcuni esempi:

  • academy aziendali interne, con percorsi verticali e trasversali;
  • formazione blended: e-learning + coaching individuale;
  • certificazioni professionali finanziate dall’azienda;
  • job crafting: possibilità di modellare il proprio ruolo in base a competenze e interessi emergenti.

Politiche di work-life balance

Il tempo è la nuova valuta del benessere. Le persone che possono conciliare lavoro e vita privata sono più fedeli all’azienda. Le leve più efficaci:

  • orari flessibili e smart working strutturato;
  • congedi parentali estesi o integrativi;
  • settimana corta (sperimentazioni in crescita);
  • accesso a supporti psicologici o servizi di cura (es. caregiver).

Scopri il ruolo del welfare aziendale nella retention.

Benefit e riconoscimento delle performance

Il riconoscimento è una leva fondamentale, che va ben oltre l’aumento salariale:

  • sistemi premianti basati su obiettivi chiari e condivisi;
  • premialità personalizzate (non solo economiche);
  • “momenti rituali” per celebrare traguardi o anniversari aziendali;
  • cultura del feedback continuo e costruttivo.

 

Indicatori e metriche per monitorare la retention

Senza misurazione, non esiste strategia. Le aziende più evolute monitorano la retention con strumenti che integrano analisi quantitative e qualitative.

Tasso di turnover

Un classico KPI, da leggere in modo intelligente:

  • turnover generale vs turnover volontario;
  • turnover per popolazione (es. under 30, middle management);
  • turnover post-onboarding (< 6 mesi).

Un picco in una specifica popolazione è un segnale da non ignorare.

Engagement survey

Strumento chiave per misurare il livello di coinvolgimento, ma anche:

  • la percezione della leadership;
  • il grado di fiducia nei processi HR;
  • la sensazione di essere ascoltati e considerati.

I risultati vanno analizzati, condivisi e tradotti in azioni concrete.

Exit interview

Le interviste di uscita sono fondamentali per raccogliere feedback autentici. Alcune best practice:

  • conduzione da parte di figura HR neutrale;
  • questionario strutturato + colloquio libero;
  • analisi periodica delle risposte aggregate.

 

Chi sono le persone più a rischio di lasciare

Non tutte le popolazioni aziendali sono esposte allo stesso modo al rischio di abbandono. Le analisi di predictive HR consentono di identificare gruppi a maggiore probabilità di dimissioni:

  • profili ad alto potenziale con scarsa visibilità interna;
  • neoassunti dopo 3-6 mesi (fase critica post-onboarding);
  • middle management senza piani di sviluppo chiari;
  • persone in transizione di ruolo o sotto nuovo management.

Agire in modo preventivo su questi cluster permette di ridurre in modo significativo il tasso di abbandono.

 

 

 
 
 
 

 

 

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